Dipendente pubblico con Partita IVA per attività agricola: ok dal Consiglio di Stato

Nella sentenza del Consiglio di stato del  N. 05854/2025 su ricorso N. 03715/2023  è stato precisato che non esiste alcuna normativa che vieti ai dipendenti pubblici l’esercizio dell’attività agricola   non professionale  e non ha rilievo in merito il divieto di munirsi di partita IVA  previsto  da una circolare interna del Corpo della Guardia di finanza, non trattandosi di una fonte normativa. Il caso oggetto di analisi riguardava infatti  un maresciallo dell Guardia di Finanza sanzionato a seguito della scoperta di una Partita IVA aperta dal militare per l’attività di coltivazione di ulivi. Vediamo di seguito piu in dettaglio la vicenda e le indicazioni del Supremo tribunale amministrativo.

Attività agricola con Partita IVA e Guardia di finanza: il caso

La vicenda trae origine dalla sanzione disciplinare di quattro giorni di consegna inflitta a un maresciallo capo della Guardia di Finanza, per l’attività agricola connessa alla titolarità della Partita IVA, non previamente comunicata,  che secondo il Comando risultava incompatibile con il servizio, in forza di quanto previsto dalla circolare interna n. 200000/109/4 del 20 giugno 2005, che vieta le attività extraprofessionali — incluse quelle agricole — da parte del personale del Corpo.

Il militare, da parte sua, ha sostenuto che la Partita IVA, aperta nel 2008 e chiusa nel 2017, non era legata a un’attività economica in senso commerciale, ma esclusivamente alla cura di due terreni di proprietà familiare, destinati alla produzione di olio d’oliva per consumo domestico. Inoltre, ha precisato di aver comunicato l’esistenza della Partita IVA al comando già nel 2015. 

Nonostante le sue osservazioni, l’Amministrazione ha confermato la sanzione, rigettando anche il ricorso gerarchico.

Il militare ha quindi presentato ricorso al TAR del Lazio, che con sentenza favorevole ha annullato il provvedimento sanzionatorio e condannato le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di lite. Contro tale decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando generale della Guardia di Finanza hanno presentato appello al Consiglio di Stato, articolando un motivo basato sulla violazione degli articoli 748 e 894 del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010), dell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 e della suddetta circolare interna.

Tuttavia, l’appello è stato dichiarato irricevibile per tardività, poiché la prima notifica via PEC effettuata dagli appellanti non è andata a buon fine per errore nell’indirizzo e la rinotifica è avvenuta oltre il termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 92 del Codice del processo amministrativo. Il Consiglio di Stato ha anche rigettato l’istanza di rimessione in termini per errore scusabile, rilevando che il corretto indirizzo PEC era comunque noto agli appellanti e disponibile nei pubblici registri.

La legittimità dell’attività agricola con Partita IVA

Al di là del vizio procedurale, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato anche il merito dell’appello, osservando che l’attività agricola occasionale e non professionale esercitata su fondi di proprietà non è vietata ai dipendenti pubblici. 

Tale attività, infatti, non è assimilabile all’esercizio di industria o commercio vietato dall’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. 

La sentenza sottolinea che una circolare interna, priva di rango normativo, non può introdurre divieti non previsti dalla legge, e che l’apertura di una Partita IVA, se finalizzata esclusivamente alla gestione del fondo rustico in modo non imprenditoriale, è pienamente legittima.

Il Consiglio di Stato ha inoltre ribadito che l’attività agricola, anche se assistita da Partita IVA, può rientrare tra le prerogative del diritto di proprietà costituzionalmente garantite (art. 42 Cost.) e tutelate anche dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un’interpretazione più restrittiva, secondo i giudici, comporterebbe un’irragionevole compressione del diritto di godimento del bene.

La sentenza si conclude con la condanna del Ministero e del Comando generale al pagamento delle spese processuali in favore del militare, per un totale di 4.000 euro oltre accessori di legge.